"Il piacere della tavola è di tutte le età, di tutti i paesi, di tutti i tempi; può essere asssociato a tutti gli altri piaceri e sopravvive ad essi per consolarci della loro perdita".
La Fisiologia del gusto è un’opera curiosa come curiosa è pure la sorte che pressoché due secoli di vita le hanno riservato. La fortuna di un libro spesso segue percorsi insondabili, crea – a torto o a ragione – monumenti dalla sacralità quasi inattaccabile, oppure muta col mutare delle mode, degli equivoci, delle intuizioni e degli abbagli.
Ma può accadere anche che un libro attraversi le generazioni lasciandosi assimilare per quello che è, senza pretese; permettendo ad ognuno che lo incontri di prendere per sé quel poco o quel tanto che lo affascini o che semplicemente gli serva. Qualcosa del genere deve essere successo anche a questa raccolta di meditazioni sulla gastronomia.
Della Fisiologia del gusto – dal 1825, anno della sua uscita – si sono susseguite, in una discreta serie, ristampe, riedizioni, traduzioni in varie lingue, versioni critiche, tirature di consumo ed edizioni di pregio.
La sua fortuna è stata probabilmente tanto nella sua brillantezza e nella sua vivacità, quanto nei suoi limiti di opera disomogenea, a tratti obbiettivamente confusa o addirittura pedante.
Infatti non di rado un redattore, un curatore o un traduttore è intervenuto ad esaltarne gli accenti considerati via via i migliori, a puntellarne i meno riusciti e a nettarne i peggiori.
Si è tramandata così una sottile varietà di versioni – ognuna a suo modo gustosa – senza neppure l’assenza, di contro, delle debite rigorose ricostruzioni filologiche.
Il nome di Jean Anthelme Brillat-Savarin è stato l’imprimatur per circoli culinari o associazioni di buongustai; ha battezzato un dolce ed un formaggio; in rete una ricerca superficiale ci indica qualche centinaio di siti che a lui in qualche modo riconducono.
A parlare dell’opera e del suo autore si sono scomodati da Balzac a Roland Barthes; molte delle sue espressioni sono diventate, e non solo tra gli addetti ai lavori, frasi d’uso diffuso, e dall’uso a volte storpiate o ridotte a luoghi comuni.
Resta tuttavia la sensazione che Brillat-Savarin sia stato talmente citato e considerato un classico da essere – non saltuario paradosso della buona sorte – ormai raramente frequentato.