Acclamato dalla critica statunitense – «si legge come Moby Dick curato da F. Scott Fitzgerald» –, Cavalli di razza è prima di tutto la commossa riflessione di un ragazzo che fa i conti con la difficile eredità paterna, oltre che una ricerca sul senso stesso della scrittura.
«I figli» dice Sullivan «spesso vagano come sonnambuli sulle sconfitte dei padri».
«John Jeremiah Sullivan è uno dei più interessanti autori americani di non fiction narrativa ed è uno scrittore unico.» – Robinson
Una sera, mentre lo assiste al suo capezzale, John Jeremiah Sullivan chiede al padre Mike, che ha passato la vita a scrivere di sport, quale sia stato il momento più straordinario della sua carriera.
«Ero al Derby di Secretariat, nel ’73» risponde Mike. «È stato… pura bellezza».
John è nato a pochi passi dalla sede del Kentucky Derby, la celebre corsa riservata ai purosangue di tre anni d’età, eppure fino ad allora si era sempre tenuto alla larga dall’ippica, e dallo sport in generale.
Ma le parole del padre, e la sua improvvisa scomparsa, lo spingono a esplorare dall’interno il mondo delle corse dei cavalli, riscoprendo le irripetibili vittorie di Secretariat e assistendo alle imprese di War Emblem in un’America ancora sconvolta dall’11 settembre.
Ne nasce un originale viaggio per non iniziati nella storia e nella letteratura sui cavalli.