Io se fossi Dio è un disco fantasma, pubblicato all’alba degli Ottanta e mai più ristampato nella sua forma originale.
Non è un caso: Io se fossi Dio è il disco più enfio, scomodo, irriverente, coraggioso, virulento, sincero, che Giorgio Gaber abbia mai prodotto.
Il disco di cui nessuno ha mai parlato - e parla - volentieri.
Perché negli anni bubble gum della Milano da bere, del craxismo imperante, dell’Italia che andava a puttane, fuori e dentro metafora, Io se fossi Dio è stato l’lp (ancorchè anomalo, mini 33?, maxi 45?) che nessuno voleva.
Non lo voleva la casa discografica che ha finito, difatti, col tirarsi indietro.
Non lo volevano i giornalisti di Palazzo, e nemmeno i partiti politici, mossi dallo sdegno per la lesa maestà del martire Aldo Moro.
Meno che mai lo volevano stampa e televisioni, già genuflesse al benpensantismo di facciata e all’euforia di dovere.
A trent’anni (e passa) dall’uscita della canzone e a dieci dalla morte di Gaber, questo libro rompe il silenzio, commentandola strofa per strofa, intersecandone la storia ufficiale e i retroscena.
Con il supporto di diverse fonti dell’epoca e le interviste inedite a Sergio Farina e Sandro Luporini.