La mafia era sempre stata di famiglia per noi, interna alla nostra casa, così abituale da non farsi notare; ma, con l’omicidio dello zio, d’improvviso diventava una forma spaventosa, sconosciuta e falsamente benevola.
Di quel nucleo familiare, così forte e unito, di quella famiglia felice e ostentatamente patriarcale come era la mia, oggi non esiste più niente: è stata spazzata via dalla crudeltà della mafia che non ha avuto il minimo scrupolo a sconvolgere i nostri affetti e i nostri sentimenti.
La nostra famiglia si sfaldava e, a peggiorare le cose, avrebbe contribuito anche un atteggiamento che, fino ad allora, ci era sconosciuto.
Cominciarono problemi nei rapporti familiari, soprattutto per la reazione di Peppino che da allora cominciò a chiedersi in che famiglia e in che mondo vivesse.
Da lì inizia una riflessione che lo porterà a fare le sue scelte. Sono stati tempi molto difficili.
Almeno agli inizi, sembrava impossibile poterci liberare da quell’oppressione mafiosa, toglierci dalla testa quel velo di falsità che ricopriva anche la nostra casa.
Ci siamo riusciti pagando un prezzo altissimo ma con un risultato straordinario che oggi possiamo rivendicare con pieno merito: quello di essere tornati a vivere come persone libere che sono riuscite a far capire che in Sicilia è possibile resistere contro lo strapotere della mafia.
Un’eredità dal valore inestimabile, una ricchezza che ci è stata lasciata da Peppino e che mia madre e io abbiamo saputo raccogliere per essere i testimoni del nostro tempo.
Giovanni Impastato