In queste pagine si raccontano i personaggi, i comportamenti, le cose della vita dei rebets e del rebetiko, la musica che li accompagna con i suoi ritmi e il suo stile di vita.
Una musica che ispira a danze solitarie in luoghi di marginalità, locali equivoci, carceri, là dove il carcere rappresenta l’unica vera scuola di questa musica.
Una musica intrecciata a quella di una sostanza, l’hashish e di coloro che la consumano, gli hassiklides con «quella loro dolcezza e tranquillità tipica che troverò mille altre volte in vita mia, anche se loro sono più interessanti degli ubriaconi e infinitamente più belli dei piccolo-borghesi».
Quegli uomini a cui l’hashish «regala rilassatezza, sogni dolci, la desiderata tranquillità che scaccia i pensieri neri».
Questo libro consente anche un bell’incontro: quello con Petropulos, l’uomo che osserva e penetra il Senso della Vita.
L‘“antropologo urbano” – come si definiva – che fa una scelta di parte.
Studia all’Università della strada.
Viene incarcerato.
Non si annovera tra gli hassiklides, non è un malavitoso ma sta dalla loro parte, dalla parte di quella umanità “comune” dove vede annidarsi – ed esprimersi – il senso della vita, perfettamente consapevole che non c’è un modo rebetiko di pensare, c’è un modo rebetiko di vivere.