Uno degli enigmi più apparentemente impenetrabili della storia – nonché uno dei più ricorrenti – è quello rappresentato dall’obbedienza della massa ad un piccolo numero di potenti. L’occhio critico di Simone Weil indaga in questa direzione con la consueta lucidità e mette capo ad una fenomenologia dell’obbedienza in grado di disarmare permanentemente qualsiasi pulsione rivoluzionaria.
La maggioranza – numericamente traboccante – viene additata dalla storia come in una condizione di scacco perpetuo, tenuta sempre in ostaggio da una esigua minoranza.
La prima lezione derivante dalla lettura critica del nostro passato è, dunque, che il numero, di per sé, non costituisca un fattore decisivo entro la dinamica del potere.
Con un acume critico raramente osservabile nelle pagine di altri e forse più blasonati pensatori politici, Simone Weil spiega come l’idea di creare una massa pienamente consapevole dei propri obbiettivi sia una sorta di irrealistico azzardo.
La creazione di una coscienza di classe è semplicemente impossibile, perché una massa di individui tutti diversi fra loro non potrà mai giungere ad una reale uniformità di intenti.
Se la coscienza di classe è un’utopia e la massa è storicamente ostaggio di una oligarchia di potenti in grado di manovrarla, allora la rivoluzione si svela allo sguardo di Simone Weil come un insopportabile feticcio.
La massa che vediamo agire entro la fiamma del moto rivoluzionario è plasmata dagli stessi valori di quel regime cui – a un certo punto – decide di ribellarsi.
Ecco perché la prassi rivoluzionaria non potrà mai effettivamente realizzare un ordine sociale differente rispetto a quello nel quale ha alimentato il proprio livore. Dunque – secondo Simone Weil – la massa si profila come una sorta di sintesi passiva, che mantiene la forma, gli ideali e i comportamenti caratteristici del regime che desidera abbattere.
Se la massa è un impossibile sogno politico, la rivoluzione si svela come un ideale inconsistente, sul quale ogni gruppo economico o politico proietta con leggerezza le proprie fantasie più sfrenate.
Tutti sognano la rivoluzione perché l’avvenire sia finalmente più roseo; ma la storia dimostra che ogni risveglio è un incubo, dal 1789 al 1917