Dalle origini, nel bel mezzo della Primavera araba del 2011, la guerra civile siriana è costata più di 270.000 vittime e si calcola che 8 milioni di siriani, più di un terzo della popolazione del paese, sia stato costretto ad abbandonare le proprie abitazioni.
Le radici profonde di questo conflitto non sono mai state capite bene in Occidente, soprattutto dal governo degli Stati Uniti e da quelli europei che, prevedendo una rapida uscita di scena di Assad, ne hanno fatto una condizione irrinunciabile per qualsiasi negoziazione.
Le conseguenze di questo errore di calcolo, afferma Charles Glass nella sua illuminante e concisa analisi, hanno dato un grande contributo al disastro oggi in corso sotto i nostri occhi. Glass è stato per decenni corrispondente per il Medio Oriente e ha viaggiato spesso in Siria.
In questo libro combina reportage, analisi e storia per fornire una visione accessibile a tutti delle origini e delle condizioni che definiscono il conflitto in rapporto alla crisi complessiva della regione.
La sua voce elegante e concisa, umana e bene informata, è un antidoto alle semplificazioni che caratterizzano tanta parte dei commenti e delle politiche sulla guerra civile.
“In un’era di notizie frammentarie diffuse 24 ore su 24 è più che mai necessario situare i fatti in un’ampia prospettiva per poterli spiegare. È esattamente ciò che Charles Glass offre con la sua profonda esperienza del Levante a chi si interessa del Medio Oriente in questa tempestiva, elegante e penetrante analisi degli sconvolgimenti che hanno ridisegnato la regione”.
Alan Cowell, The New York Times
“Il libro di Charles Glass è un amaro monito per l’agonia di quello che una volta era il Levante, la sua ‘Siria’, in cui, oltre a fare la cronaca della guerra civile in corso in questo sfortunato paese, si descrive anche l’insensata distruzione dei suoi grandi monumenti. Leggete ‘La Siria brucia’ se volete capire perché il regime di Assad era preparato e determinato a resistere ai venti
del cambiamento, anche se questa guerra segna indubbiamente la fine di un secolo di storia post-ottomana”.
Jonathan Randal, The Washington Post