La pubblicazione del Cavaliere di Sainte-Hermine, ultima opera, inedita e sconosciuta, di Alexandre Dumas Padre, ha suscitato in Francia grandissimo clamore.
E non solo per il fatto, straordinario in sé, che fosse rimasto nascosto per centocinquant’anni un romanzo, scritto dall’autore forse il più popolare di tutti i tempi, il creatore di D’Artagnan e del Conte di Montecristo.
Ma per due ragioni più speciali.
Innanzitutto si tratta di un testo che nessuno aveva finora sospettato, tanto che la vicenda del ritrovamento, lunga tre lustri, costituisce da sola un romanzo del romanzo.
La racconta nell’Introduzione a questo volume l’uomo a cui si deve la scoperta, Claude Schopp, il massimo esperto di Dumas, uno di cui si dice che abbia compilato una scheda biografica per ogni giorno della vita dello scrittore, ed è un’indagine indiziaria.
L’intrigo inizia proprio alla Dumas, il giorno della sua morte in un paesino della Normandia durante la guerra Franco-Prussiana: il suo legatario, temendo saccheggi da parte delle truppe, sotterra in un cantina le ultime carte dello scrittore insieme all’argenteria.
Ma restano tracce nelle lettere, brani che si chiariscono solo con qualcosa, un romanzo che deve esserci ma non c’è, pagine incomprensibili se non si collegano ad altre che mancano.
Finché la caccia spasmodica si chiude in un castello della Boemia postcomunista: da un inaspettato archivio dumasiano, si ricompone il romanzo nelle mani del suo detective instancabile.
La seconda meraviglia è che il romanzo non è uno dei tanti scritti di un autore tra i più prolifici, ma è considerato l’anello mancante della catena che nelle intenzioni di Dumas doveva unire tutta la storia di Francia: dal Rinascimento ai suoi tempi, dalla Regina Margot al Conte di Montecristo: un romanzo della storia, cui mancava finora la stagione di Napoleone, il «despota della libertà».