«Liberato dal primato della geometria e del recinto, il giardino diventa uno straordinario laboratorio per nuove relazioni con la vita, che non ha ancora finito di stupirci. Un giardino che è ormai planetario e del quale tutti, buoni o cattivi, siamo giardinieri.
Sposando con entusiasmo questa condizione contemporanea come programma del presente, io promuovo l’edonismo durevole e cerco di viverlo in modo collettivo: imparando dall’esperienza, si opera insieme.
Ho constatato che non sono né il virtuosismo tecnico né la sofisticazione tecnologica a rendere un’opera più poetica, in grado di farci sentire più intensamente vivi: è la capacità di trovare l’essenza stessa della nostra condizione umana nella nostra epoca. La quale evolve con il tempo, e forse in fondo è proprio ciò che chiamiamo cultura.
Quello di cui sto per parlarvi è la meccanica di una creazione in collettivo, così come noi la pratichiamo: procedendo per istinto e con un numero congruo di persone, strada facendo ne esplicito quanto riesco a comprenderne».