Pierre Cusseau, che si è inventato la professione e il titolo di Pastore d’aromi, riportando l’attenzione su un uso calibrato e attento delle aromatiche, con il suo entusiasmo e la sua passione ha riaperto un universo, quello dei profumi che tutti noi usiamo – o meglio, maldestramente crediamo di usare – per insaporire la nostra cucina.
Un sapere in crisi, perché come lui stesso osserva viviamo in un mondo che del cibo privilegia l’aspetto visivo,
e poco bada al sapore e al profumo di quel che mangiamo.
Questa nuova attenzione, che è anche il recupero in chiave moderna di una capacità atavica – già animale e poi culturale –, diventa ricerca individuale di autenticità e contatto col mondo vivente non-animale, tanto più se accompagnata dalla coltivazione, raccolta e conservazione delle erbe.
Con tutta la particolarità e l’individualismo del suo lavoro, Pierre partecipa a quel vasto movimento dai molti nomi e senza etichette, disomogeneo e sparpagliato, i cui attori cercano e praticano forme di vita e socialità diverse
(qui almeno nel gusto, e quindi con la parte più eterea e sensibile del nostro essere, l’anima) da quelle della società del consumo di massa, che impone prodotti industrializzati, manipolati e artefatti secondo criteri ben diversi da quelli proposti in queste pagine.