L'avvio in Italia di un'importante fase di sviluppo per l'ippica e gli sport equestri fu senza dubbio agevolato dall'interessante dibattito di carattere politico e strategico, che si concluse, dopo più di quattro anni, nel 1923, con la complessiva ristrutturazione dell'Esercito ed un radicale ripensamento del ruolo svolto al suo interno dall'Arma di Cavalleria e della funzione dei Depositi Stalloni.
Il fascismo si trovò in particolare a condividere l'urgenza di una razionalizzazione degli allevamenti, in grado di contribuire al prestigio della Nazione. All'interno di questo disegno di grandezza deve dunque essere collocata la rinascita del movimento ippico italiano. Mussolini ordinò tra il 1926 ed il 1928 il suo forzato inserimento all'interno del CONI, salvo doverne poi riconoscere l'incompatibilità con le altre federazioni sportive. I suoi quattro enti tecnici nel 1932 vennero infatti posti alle dipendenze della neonata Unione Nazionale Italiana Incremento Razze Equine ( UNIRE ), che, pur dovendo scendere a patti, tra il 1933 ed il 1936, con il CONI, si dimostrò comunque capace di difendere le proprie prerogative tecniche e di salvaguardare l'autonomia dei proprietari e degli allevatori di cavalli da corsa.
L'ippica fu quindi sostanzialmente in grado di preservare la propria libertà, in nome di una storia nobile e gloriosa, riuscendo addirittura ad impedire l'inserimento dei suoi quattro enti tecnici nel rigido meccanismo delle Corporazioni.