Da tempo esiste una relazione privilegiata tra droghe e arte, tra consumo e potenziamento della percezione; e la letteratura ha fatto la sua parte. Baudelaire e l'hashish, Burroughs e le anfetamine, Huxley e la mescalina: sono solo alcuni degli scrittori che hanno unito sostanze psicoattive e urgenza creativa, dissolvendo i confini tra sperimentazione e bisogno fisico, tra desiderio e dipendenza. Ma oggi il panorama è mutato, diverso è il rapporto tra dipendenza e scrittura, perché il consumo si è massificato, non è più per pochi maledetti, è diventato materia di narrazione più che strumento. La chemical generation di Irvine Welsh, Gary Indiana, Jeff Neon, Giuseppe Genna, Toni Davidson, John King, Michele Monina e tanti altri scrive in queste pagine di atmosfere psichedeliche, paranoia, sesso, sballo. Che il punto di vista sia quello del consumatore, dell'osservatore cinico o del tossicodipendente pentito. La scombinata vita sessuale di un balordo di periferia che carbura solo a birra e non sopporta i tossici. Gracili intellettuali newyorkesi su una spiaggia, con le vene "come fiumi gelati", che dissertano sull'esistenza vagheggiando Parigi e Tangeri. L'incontro surreale tra un impasticcato di anfetamine e il suo medico. Due amici di Edimburgo che condividono un trip allucinogeno e la stessa ragazza.
Il risultato è una raccolta straordinariamente eclettica, una corsa sulle montagne russe che trasmette l'euforia edonistica, l'acutezza paranoide di una droga. Rilassatevi, ingeritela e lasciate che faccia effetto.