L’incubo è la Cavalla della Notte: la fantasima sganasciante, con froge e zoccoli.
Abita la coscienza disfatta dal sonno, il buio accidioso degli istinti, la cecità delle tentazioni, il rodìo dei rimpianti e delle nostalgie nella costernazione per il tempo che si vorrebbe fermo e invece sopravanza e soverchia.
L’incubo è la qualità equina, l’astrazione che governa questo romanzo di amazzoni e di allevatori di cavalli purosangue, ambientato tra scuderie e maneggi, ippodromi e piste: tra corse clandestine e corse di beneficenza.
Un mondo nuovo sorprende e spiazza il commissario Montalbano.
Una società che strepita a vuoto, su quella linea logora che a stento separa un vestibolo di ignavi, di smidollati e di viziosi (aristocratici alcuni, ma per lo più imprenditori e uomini d’affari), dall’«inferno» della vecchia e della nuova mafia. Un «suon di man» echeggia, in questo vestibolo, come in quello dell’Inferno dantesco.
Ma se i «cattivi» di Dante erano «stimolati molto» da «mosconi» e «vespe», questi lunatici circensi spiaccicano sulle loro gote nugoli di moscerini.
Tutto ruota attorno alla carcassa rapita di un cavallo da corsa.
E a un cadavere trovato seminudo, con un proiettile in corpo, buttato al sole e ai cani.
Due romanzi si chiudono l’un dentro l’altro.
Le piste si intrecciano e si confondono.
Ciò che sembra chiaro al dritto, si rivela oscuro al rovescio. Montalbano cavalca un doppio incubo.
Monta dapprima sulla «cavaddra-fimmina».
E poi, maldestro, inforca un cavallo di bronzo: un ordigno metamorfico, che lo trabalza «con la faccia verso il culo della vestia», e lo porta su piste di sabbia, là dove le orme si sperdono e cancellano.
Montalbano è un aruspice annebbiato dai gabbamenti della memoria e dagli «incubi» dell’incipiente vecchiaia.
Avrebbe bisogno di un paio d’«occhiali».
Sente la bestia sotto di sé.
Ma forse è lui stesso un «cavallo» condotto da eventi che non sa decifrare.
Come la madonna Oretta di una novella del Decameron, il commissario scenderà infine dai «cavalli» di «duro trotto» e di andatura sbagliata (a barzelloni e traballoni).
Si ritroverà.
Tornerà ai consueti avvedimenti: trucchi, «sfunnapiedi», o «saltafossi».
E ancora una volta, senza ausilio d’occhiali, saprà ricomporre, leggere, e raccontarsi, una «bellissima» storia.
Salvatore Silvano Nigro