Tutte le guerre sono sporche, ma quella civile spagnola apparve fin da subito come un caso a parte.
Il Fronte popolare aveva fatto il pieno di voti nelle elezioni del febbraio del 1936: la sinistra era al potere in una nazione da sempre spaccata in due; da una parte l’aristocrazia, i latifondisti, larga parte del clero e una folta schiera di generali; dall’altra socialisti, comunisti, repubblicani e la più cospicua pattuglia di anarchici d’Europa.
La Repubblica fu sfidata apertamente nel luglio del 1936, quando le destre, sotto la guida di Francisco Franco e di altri generali, decisero di usare le armi contro un governo democraticamente eletto: l’attimo successivo fu l’inferno. Da sempre convinta pacifista, la nostra pensatrice decise di non assistere da casa, nelle retrovie, a questo scempio. Così
attraversò il confine spagnolo nel cuore della prima estate di guerra.
Lontana dal fronte metterà meglio a fuoco le esperienze vissute e soprattutto la delusione patita per lo scarto fra i grandi ideali repubblicani e la pochezza degli uomini che avrebbero dovuto difenderli.
Simone Weil aveva scoperto sulla propria pelle che nessuna guerra realizza la giustizia sulla terra, visto che anche il valore più alto, fra le mani degli uomini, diventa strumento d’offesa e di vendetta. Difficile realizzare il bene, quasi impossibile zittire il dubbio sulla sensatezza della propria azione.
L’unico istante veramente utile in un’azione bellica, concepita comunque come un omicidio, è quello in cui il rischio imminente di morire fa rimbalzare l’uomo verso la sovrana bellezza del vivere, verso l’assoluto nascosto nel cuore dell’effimero: «ci si stende all’ombra con i fucili. […] Si aspetta. Ogni tanto il tedesco caccia un sospiro. Ha visibilmente paura. Io no. Percepisco come tutto, intorno a me, esista intensamente. […] Mi stendo sulla schiena, guardo il fogliame, il cielo blu. Giornata bellissima. Se mi prendono mi uccideranno… Ma sarebbe meritato. I nostri ne hanno versato di sangue. Ne sono moralmente complice».
Questo Diario della guerra di Spagna dimostra al di sopra di ogni sospetto che il pacifismo non è l’espressione pusillanime di un vigliacco rifiuto delle armi, ma la scelta consapevole, vissuta – e incarnata fino all’incandescenza – dell’uomo che pensa.