Questo non è un libro su Francesco De Gregori.
E' piuttosto un testo divagante intorno all'idea del sovvertimento semantico che il cantautore ha impresso alla canzone.
De Gregori è stato il primo "rivoluzionario" del verso cantato della storia.
Lo è stato sin dall'inizio - sin dal primo apparire spiazzante di "Alice" - e ha continuato a esserlo nelle canzoni e nei dischi a seguire. Il suo tratto poetico, i suoi topoi, luoghi e schemi narrativi, stanno tutti nei suoi primi quattro album.
Nella quadrifonia ermetico-evocativa pubblicata in successione dal 1973 al 1976, da "Alice non lo sa" a "Buffalo Bill". Passando per "Francesco De Gregori" e "Rimmel".
Quella di Francesco De Gregori è un verseggiare da equilibrista, un destreggiarsi continuo tra musica e parole, con strofe quasi mai didascaliche o monodirezionali.
Le sue canzoni non blandiscono, non pontificano, non moraleggiano, limitandosi alle libere associazioni, al suggerito. In una lingua che arrischia i voli pindarici e le cadute - le pagine chiare e le pagine scure di "Rimmel" - mischiando il parlato con il colto, il rimando politico e quello personale, in un intreccio suggestionante, che fa del cantautore un apripista musical-letterario.
Un caposcuola sovversivo.
O forse soltanto - nomen omen - Francesco De Gregori.