Il XX secolo è stato segnato da un’architettura funzionalista di matrice meccanica e industriale che ha ridisegnato il volto delle città dal dopoguerra a oggi.
Un secolo in cui l’esperienza dello spazio vissuto e l’esperienza psichedelica ponendosi su binari paralleli sembrano non essersi mai incontrate. Eppure l’esperienza psichedelica ci dice qualcosa di inaudito sul mondo, o meglio qualcosa che sappiamo fin dall’alba dell’umanità ma che abbiamo dimenticato; riscoprire questa antica sapienza ci permette di cambiare la nostra mente e il nostro mondo che quotidianamente abitiamo.
Negli anni sessanta del secolo scorso Herbert Marcuse parlò di civiltà bloccata e unidimensionale capace di far apparire razionale la sua irrazionalità, di trasformare lo spreco in bisogno, e la distruzione in costruzione. Ma forse non tutto è perduto: in questa alterazione di senso fra il razionale e l’irrazionale possono trovare ancora posto idee capaci di promuovere l’arte di vivere. In tale contesto l’architettura psichedelica si pone come recupero di un certo modo di intendere gli spazi secondo coordinate che esulano dalle tipologie consolidate da anni di architettura funzionalista.
Il paradigma psichedelico è ancora oggi una possibilità per uscire dal disagio provocato dalla ragione dominante aprendo a quelle ulteriori dimensioni dell’umano che ne renderebbero completa l’esistenza, oltre quella unica dimensione descritta da Marcuse già negli anni sessanta del secolo scorso.